Sono tornata a casa.
O almeno, starò a
casa dai miei per un paio di settimane. Per le "vacanze estive" (per
così dire).
In realtà non dovrei
dire casa, dato che ora il mio trasferimento è completo.
Ho trasferito la residenza a Bologna, spostato tutte le mie cose,
i miei hanno riarredato la mia stanza.
E' ufficiale, ora
la mia casa è Bologna.
Eppure adesso sono
a qui.
Dire che gli
ultimi mesi siano stati uno schifo sarebbe un eufemismo. Tra il trasloco sotto
esami, il tirocinio insieme al trasloco e mio padre che metteva solo bocca a
vanvera nella mia vita, la mia malattia
mentale ha cominciato a farsi
sentire con prepotenza e a emergere quasi giornalmente. Il risultato è stata
una quasi completa rottura con mio padre e i miei fratelli e il disprezzo di
mia madre, che in un momento particolarmente ispirato mi ha suggerito di non
tornare più a casa (probabilmente perché turbo il loro delicato equilibrio
casalingo con la mia scomoda presenza).
In realtà non è
così grave; o meglio, lo sarebbe se a me importasse qualcosa.
La realtà è che scrivo
qui alle due del mattino perché sono depressa, ogni volta che torno qui i
ricordi mi travolgono come una valanga. Non riesco a fare le solite strade,
andare nei miei posti speciali, senza che il mio cervello elabori tutti i
momenti che ho passato qui. E purtroppo nei miei 24 anni non ci sono state
molte belle esperienze da ricordare con nostalgia.
Stamattina ho
deciso di iscrivermi nella mia palestra dell’adolescenza, un po’ perché sono
grassa da fare schifo (e già che dobbiamo stare qui due settimane tantovale) e
un po’ perché la palestra funziona meglio dello psicoterapeuta (e costa
decisamente meno).
Girando in bici
sono passata davanti a casa di una mia amica, la mia migliore amica di quando
avevo 16-17 anni e che ora non mi parla più. Non ho mai saputo il perché ad un
certo punto abbia cominciato a detestarmi, ma non l’ho mai superato (probabilmente
è alla base di tutte le mie psicopatie? ).
Casa sua da fuori è sempre la stessa, i suoi hanno anche lo stesso
solito macinino di macchina. Tutto questo mi ha colpito quasi fisicamente, “Non
è cambiato niente” continuavo a ripetermi. “Qui è dove ho appeso lo striscione
il giorno del suo compleanno, lì è dove andavamo a giocare a basket, e questa
strada la facevamo per andare al liceo”. Eppure adesso io sono a Bologna e lei
non sa più neanche se esisto.
Ero così depressa oggi che neanche la palestra mi ha aiutato. Ho
cominciato ad odiarmi, ad odiare il fatto di essere qui, ma anche il fatto di
essere scappata piantando in asso gli amici del liceo, e odiando il fatto di
non poter passare oltre e chiudere quel periodo semplicemente nella scatola dei
ricordi.
Dopo la doccia ero
ancora più convinta del fatto che la nostalgia mi nuoce moltissimo, quando
alzando lo sguardo l’ho trovata proprio lì di fronte a me.
Se non sapessi di
essere pazza, cercherei una spiegazione razionale. Tipo che era ragionevole che
anche lei continuasse ad andare nella nostra vecchia palestra, che lei non si è
trasferita e che forse la cosa più strana era il mio trovarmi lì, non il suo.
Però non riesco a
togliermi ancora di dosso quella sensazione.
Quando in quel
momento ho alzato lo sguardo il tempo si è fermato.
“non è possibile”
“non è possibile”
Potevo scoppiare a
ridere nella mia testa. Sembrava tutto troppo comico.
Eppure.
Mi sono resa conto
di quanto in questi anni io non sia affatto cresciuta. Non mi sono lasciata
nulla alle spalle, e le delusioni bruciano come se le avessi provate ieri; era
tutto lì, dietro un velo. E io in tutti questi anni non me ne ero mai accorta.
E tutto questo deve avere un senso. Non può essere successo solo
per caso.
Beh, dopo due
parole di cortesia sono letteralmente scappata.
Sono da ricovero.
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